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TECNICHE DI COLTIVAZIONE FUORI SUOLO

Avevamo già trattato in un precedente articolo l’argomento delle coltivazioni fuori suolo, in cui avevamo dato una panoramica generale sulle principali caratteristiche di questa tecnica di coltivazione (vi rimandiamo al link se ve lo siete perso).

Questa volta volevamo invece soffermarci maggiormente sulle diverse metodiche esistenti, sulle caratteristiche dei substrati in commercio e sull’illuminazione.

Il termine idroponica comprende tutte le tecniche di coltivazione fuori dal terreno agrario, il quale è sostituito da un substrato naturale o artificiale, oppure solamente da una soluzione nutritiva. Così facendo non si avranno problemi legati alla stanchezza del suolo e si avrà un controllo totale sulla nutrizione, aumentando enormemente le rese (per esempio il pomodoro può superare anche i 40 kg al m2).

coltivazione fuori suolo idroponica

Le colture allevate in questo modo vengono alimentate attraverso fertirrigazione con dei sistemi di irrigazione a goccia. In questo modo è possibile variare la concentrazione degli elementi nutritivi durante lo sviluppo della pianta, assecondando le esigenze.

I substrati, per poter essere adatti alla coltivazione, devono avere dei requisiti essenziali:

Proprietà meccaniche: ancoraggio delle piante (sostegno);

Porosità: percentuale di spazi vuoti (disponibilità di ossigeno);

pH: concentrazione idrogenionica del mezzo (disponibilità elementi);

CSC: capacità di un substrato di trattenere e scambiare gli ioni presenti con la soluzione;

Inerzia Chimica: non deve reagire con i sali presenti nella soluzione nutritiva;

Stabilità: ossia l’abilità nel mantenere le caratteristiche iniziali per lungo tempo;

Assenza di patogeni.

Tra i più utilizzati troviamo: la torba, la fibra di cocco e la lana di roccia:

Torba: Si ottiene dalla decomposizione delle specie acquatiche (muschi, felci, equiseti, graminacee) in condizioni asfittiche. Essa impiega migliaia di anni per formarsi e non è altro che lo stadio iniziale della formazione del carbone. È un ottimo substrato di coltivazione ma è molto impattante dal punto di vista ecologico.

Fibra di cocco: Alternativa eco-friendly alla torba. Essa si ottiene dallo spazzolamento della scorza delle noci di cocco. più sono piccole le particelle che la compongono e maggiore è la capacità di trattenere l’acqua.

Lana di roccia: La lana di roccia è un silicato amorfo composto dal miscuglio di diabasi, calcare e carbone. La lavorazione avviene a 1500-2000°C e il composto fuso viene filato in fili di 0,05 mm di diametro che vengono poi compressi e addizionati con resine fenoliche, ottenendo così la struttura a forma di tessuto.

Le piante possono essere coltivate anche senza substrato, con le radici a diretto contatto con la soluzione nutritiva.

Possiamo quindi avere intere vasche riempite di soluzione nutritiva con le piante inserite in tavole galleggianti di polistirolo (floating system). Questa tecnica è prevalentemente utilizzata per gli ortaggi da foglia, che una volta raggiunta la dimensione commerciale, vengono raccolte e sostituite con nuove piantine.

In alternativa vi sono i sistemi NFT (Nutrient Film Tecnique), costituiti da canaline in PVC in cui viene fatta scorrere la soluzione nutritiva con le piante inserite lungo il loro percorso. In questo modo viene favorita l’ossigenazione dell’apparato radicale e ridotta l’evaporazione dell’acqua che viene schermata dal sole.

Vi è poi la tecnica dell’aeroponica in cui le piante vengono disposte in supporti inclinati quasi verticali, e la soluzione nutritiva è vaporizzata all’interno di essi attraverso l’uso di un sistema pressurizzato e di ugelli. Così facendo si avrà un alto livello di ossigenazione e minori problemi legati ai patogeni fungini.

Infine è stata ideata una tecnica che andasse ad ottimizzare al meglio il sistema di coltivazione combinandolo con l’allevamento di pesci d’acqua dolce, l’acquaponica (acquacoltura + idroponica). È una pratica nella quale le piante vengono coltivate in assenza di terreno utilizzando come soluzione nutritiva l’acqua derivante dall’allevamento ittico, che è appunto ricca di elementi necessari allo sviluppo delle piante. Queste sostanze sono dei prodotti di scarto per l’allevamento ma che grazie alle piante vengono smaltiti in maniera sostenibile e con un notevole risparmio economico.

Questi sistemi di coltivazione fuori suolo, per poter rendere al massimo, sono spesso ad altissima densità, con le piante disposte anche in verticale in più layer, e questo può portare a un eccessivo ombreggiamento degli strati inferiori.

Per ovviare al problema è quindi possibile utilizzare della luce artificiale aggiuntiva che vada a sopperire la mancanza d’illuminazione, in modo da non essere più un fattore limitante.

Le lampade utilizzate non sono come quelle che utilizziamo nelle nostre abitazioni ma sono delle lampade specifiche per lo sviluppo vegetale. È risaputo che le piante necessitino di un’adeguata intensità luminosa ma anche di una certa qualità della luce.

La luce visibile è formata dalle onde elettromagnetiche con una lunghezza d’onda compresa nell’intervallo tra i 760 nm (rosso) e i 380 nm (violetto). Al di sotto dei 760 nm abbiamo gli infrarossi, mentre oltre i 380 nm vi sono gli ultravioletti.

Le piante necessitano maggiormente di un determinato intervallo, ovvero la cosiddetta PAR (Photosynthetically Active Radiation), che corrisponde alle radiazioni comprese tra e 700 e i 400 nm. All’interno di questo range abbiamo i picchi di assorbimento a 430 nm (blu) e a 660 nm (rosso), corrispondenti allo spettro di assorbimento della clorofilla A. La luce verde (circa 520 nm) non viene assorbita dalla clorofilla, ed ecco perché vediamo le piante di questo colore.

Le lampade che quindi si andranno a utilizzare nelle serre devono emettere le lunghezze d’onda più utilizzate dalle piante, infatti non è raro trovare questi sistemi colturali illuminati di viola, che non è altro l’unione della luce blu e di quella rossa.

Ad ogni modo in bibliografia sono presenti diversi studi che hanno dimostrato come i vegetali, in realtà, necessitino di tutto lo spettro luminoso, visto che altre lunghezze d’onda sono assorbite dai pigmenti accessori, tra i quali troviamo i carotenoidi e i fitocromi, addirittura anche al di fuori dello spettro visibile (rosso lontano e UV). Le lampade sono quindi state progettate per assecondare tutte le esigenze della pianta.

Abbiamo quindi disponibili sul mercato diverse opzioni:

Le lampade a fluorescenza: hanno un’efficienza del 20%, hanno una durata proporzionale ai cicli on/off, possono essere utilizzate come unica fonte di luce e possono essere posizionate vicino alle piante essendo a bassa temperatura. Hanno una buona copertura della PAR se ad alta pressione.

Le lampade tipo-HID: sono relativamente costose, sono utilizzate maggiormente come luce supplementare, hanno una bassa emissione nel blu, e la loro vita media è compresa fra le 4000-6000 ore.

Le lampade a LED: sempre più economiche, è possibile modularne l’intensità e la lunghezza d’onda, hanno un’alta emissione nel blu e nel rosso e possono essere combinati più LED per ampliare lo spettro di emissione.

Questa strategia descritta ha dei notevoli vantaggi per quanto riguarda le rese e la qualità dei prodotti, ma visti gli attuali sviluppi per quanto riguarda i costi dell’energia, devono essere fatte le opportune considerazioni in modo da avere un sistema ottimizzato, riducendo al minimo gli sprechi.